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ADOLESCENZA E ANORESSIA

ADOLESCENZA E ANORESSIA

Le future anoressiche giungono all’adolescenza con specifiche vulnerabilità che riguardano il corpo, la femminilità, l’identità, in un quadro di complessiva fragilità narcisistica. Per questo è importante evidenziare il rapporto fra i disturbi alimentari e i compiti di sviluppo delle diverse fasi dell’adolescenza, cogliendo differenze ed analogie fra le situazioni in cui l’esordio sintomatico avviene in preadolescenza, durante la piena adolescenza o nella fase conclusiva dell’adolescenza stessa. Sono diverse, infatti, le problematiche evolutive che sottendono la sofferenza psichica di un’undicenne sul cui corpo s’intuiscono i primi segni delle trasformazioni puberali, di una sedicenne incerta nell’espressione della propria femminilità o di una ventenne in crisi nell’affrontare il passaggio alla vita adulta, anche se tutte accusano il corpo delle difficoltà e degli scacchi della propria adolescenza. La “scelta” condivisa di modificare la condotta alimentare per esprimere il proprio disagio sottende differenze importanti, che riguardano sia le problematiche evolutive sottostanti, sia le modalità d’espressione del sintomo. Nella piena adolescenza il disturbo si manifesta di solito nei modi canonici descritti dai manuali di psichiatria sotto la voce anoressia: l’alimentazione si riduce progressivamente in quantità e qualità e lo stesso accade per i comportamenti sociali e relazionali. La vita assume ritmi frenetici ma abitudinari, ripetitivi e insofferenti ad ogni cambiamento come i rituali alimentari, mentre solo la dedizione allo studio aumenta, benché l’attenzione ossessiva a memorizzare dettagli ed accumulare nozioni piuttosto che a comprendere ed interiorizzare conoscenze segnali l’ipernutrizione della mente contrapposta al digiuno imposto al corpo. Altrettanto totalizzanti diventano le preoccupazioni per il peso e l’aspetto: la percezione di una se stessa grassa e pesante angoscia e paralizza. La preadolescente che soffre di un disturbo alimentare spesso non condivide queste ossessioni, afferma invece che non le importa di essere magra e che le piacerebbe riprendere a mangiare senza che un senso di pesantezza e di gonfiore e una nausea ostinata le tappino la bocca e lo stomaco. È il corpo, non la volontà, a rifiutare di assumere il cibo necessario alla crescita e allo sbocciare della femminilità, e il dimagramento è vissuto come un effetto collaterale poco gradito. Intorno ai vent’anni è presente una consapevolezza del tutto diversa del significato emotivo di rifiuto di sé e degli altri che assume il digiuno, o, più spesso, l’alternanza di abbuffate e vomito che scandisce la quotidianità e il disprezzo di sé che ne consegue. Da quando, intorno agli anni ’70, la diffusione dei disturbi alimentari ha cominciato ad assumere proporzioni allarmanti, queste patologie sono state interpretate prevalentemente come esito dell’incontro fra la fragilità narcisistica e i compiti di sviluppo dell’adolescenza femminile.

Quando l’esordio anoressico avviene intorno alla pubertà e rivela l’impossibilità o il rifiuto di accettare le trasformazioni del corpo, la psiche spesso non è in grado di comprendere ed esprimere il conflitto che il corpo dichiara.

La giovanissima anoressica spesso non è consapevole dei motivi del proprio digiuno, ed attribuisce al corpo inappetenza, nausea e gonfiore allo stomaco. Spesso è il pediatra, consultato per i sintomi di un corpo malato, a tradurre il malessere fisico in segnale di un disagio psicologico, non di rado suscitando perplessità e resistenze nella ragazza e nei suoi genitori. Nell’adolescenza piena, invece, il sintomo alimentare rivela difficoltà e conflitti nella costruzione dell’identità di genere. Le domande che il linguaggio del corpo pone ruotano intorno ad alcune questioni: è possibile affermare il desiderio di essere femminile e attraente senza rinunciare agli aspetti affermativi di Sé? È possibile trasformarsi in donna senza diventare la propria madre? Se “chi sono io?” è l’interrogativo centrale dell’adolescenza, una sua declinazione più specifica -“voglio, posso, devo essere una femmina?”- ottiene dall’adolescente anoressica una risposta negativa. Il conflitto sulla femminilità è una costante nei disturbi del comportamento alimentare: il corpo femminile, di cui la pubertà rivela la propensione materna, è vissuto come una minaccia. Non è semplice oggi per le adolescenti costruire l’identità di genere integrando valori femminili e materni: l’anoressica tende a sottrarsi a questo compito facendo propri i valori che tradizionalmente appartengono agli ambiti maschili -indipendenza, determinazione nel perseguire i propri progetti, competizione sportiva e intellettuale-. Se oggi molte adolescenti impegnate nel compito di costruire l’identità di genere spesso considerano i valori femminili tradizionali difficilmente coniugabili con la realizzazione personale, per le ragazze che digiunano il conflitto fra desideri narcisistici e bisogni oggettuali, fra autoaffermazione e dedizione agli altri, fra solidarietà e competizione, appare irrisolvibile. Le adolescenti il cui corpo pretende di non aver bisogno di essere nutrito, rispondono con la chiusura autarchica all’impossibilità di scegliere fra vecchie e nuove declinazioni dei valori maschili e femminili, mentre la cultura del narcisismo, di cui sono impregnate famiglia e società, sembra incapace di suggerire loro integrazioni armoniche fra i valori affettivi, capaci di articolare obiettivi narcisistici e relazionali e di contemplare il limite, e esaspera invece le scissioni suggerendo ideali onnipotenti nei cui confronti le giovani donne si sentono del tutto inadeguate. L’ultima fase d’esordio del disturbo alimentare in adolescenza avviene intorno ai vent’anni, all’epoca delle scelte, nella fase in cui le competenze affettive e cognitive acquisite nei processi di rimaneggiamento psichico dell’adolescenza si sperimentano nell’incontro con la realtà, mentre un’identità ancora potenziale si concretizza con l’assunzione di responsabilità relazionali e sociali. È il tempo delle decisioni, dell’impegno in un ruolo sociale e nella costruzione di relazioni caratterizzate da intimità e dipendenza reciproca, consentite da un Sé sufficientemente soggettivato da poter incontrare l’altro senza perdere i propri confini.

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