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GUARIRE DAI DISTURBI ALIMENTARI

GUARIRE DAI DISTURBI ALIMENTARI

Nei vari blog che seguo di ragazze che soffrono di disturbi alimentari o che ci sono passate, si solleva spesso la controversia se sia possibile guarire davvero e definitivamente da un Dca (anoressia, bulimia, o altri disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati), oppure se sia corretto invece parlare di semplice “remissione” perché una totale “guarigione” non è possibile. Credo che bisogna innanzitutto fare chiarezza sui termini: la guarigione è il processo di ritorno alla stato di salute di un organismo, il processo mediante il quale i problemi sono risolti nella misura in cui il paziente è in grado di condurre una vita normale, o che viva senza essere sopraffatto dai fenomeni psicopatologici. La remissione, invece, in medicina, è la recessione dei sintomi di una malattia.

Allora, fortunatamente, parlare di remissione nel campo dei disturbi alimentari è altamente probabile, anzi direi -senza essere ottimista ma semplicemente realista- che grazie ad un percorso terapeutico è assolutamente possibile, certo con il dovuto tempo, la giusta pazienza e una buona dose di fatica. Ma si può chiamare guarigione o questa è solo una remissione dei sintomi? In altre parole, se una certa persona smette di restringere l’alimentazione, oppure smette di vomitare, o cessa di avere abbuffate può dirsi guarita oppure no? La questione cruciale che viene spesso sollevata concerne il funzionamento mentale: cioè se una persona che poniamo soffriva di anoressia una volta recuperato il peso forma (il proprio set-point assolutamente personale) e ripreso un’alimentazione equilibrata non rimanga per sempre esposta alla minaccia della malattia, per sempre vittima di pensieri che erano propri della malattia, pronta ad usare i meccanismi che erano caratteristici del sintomo ad ogni difficoltà che le si presenti. La mia risposta a questa controversia è nella direzione della positività, ad una lunga distanza di tempo dalla cessazione dei sintomi. Questo non significa che se una data persona sta affrontando un periodo difficile della sua vita (un lutto, la perdita del lavoro, delusioni amorose, eccetera) e in passato aveva sofferto di anoressia, possa accadere che come reazione le venga istintivo non mangiare. Ma riconoscere questa modalità di risposta ad un evento come dannosa e insensata, senza alcun vantaggio secondario per la propria vita, senza senso, e quindi SENZA SENTIRSI PADRONI della modalità malata si riesca a dire “ma che cavolo sto facendo?”, oppure la persona in questione si possa sentire libera di digiunare magari in seguito ad un banchetto troppo luculliano, senza per questo sentirsi esposta ad una ricaduta nel sintomo, ebbene questo io lo chiamo guarigione -ripeto: dopo una generosa quantità di anni dal termine dei sintomi-. Dall’altro versante, per chi soffre di alimentazione compulsiva, guarire non significa non aver mai desiderio di cibo o di dolci. A chi non capita qualche volta di aver voglia di cioccolato quando si sente un po’ giù? O di scaricare sul cibo quando si è in ansia e di avere fame nervosa? Ma tra questo e un disturbo alimentare c’è una bella differenza: essa sta nella sensazione di perdita del controllo e nel disagio che provoca, nella capacità di saper dire basta senza sentirsi e sapersi schiavi del cibo e nel sentirsi padroni del proprio comportamento alimentare, invece che suoi sottomessi. Nella guarigione vera dai disturbi alimentari la mente è libera dal cibo, non in sua schiavitù!

Riguardo al capitolo peso/aspetto fisico/corpo, ne parlerò prossimamente.

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