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NINNA NANNA, NINNA O

NINNA NANNA, NINNA O

Tutti hanno un’opinione sul modo migliore per addormentare un bambino e su che cosa fare quando non ci si riesce. Ci sono due scuole di pensiero che conquistano l’interesse dei genitori. La prima comprende coloro che propendono per una pratica nota come co-sleeping, sonno comune, per cui si permette ai bambini di dormire nel lettone dei genitori finchè non chiedono un letto proprio. La parte razionale di questo pensiero è che i bambini hanno bisogno di sviluppare associazioni positive col sonno e che il modo migliore per ottenere questo è tenerli in braccio, coccolarli, cullarli e massaggiarli finché non si addormentano. All’estremo opposto vi è l’approccio della ‘risposta ritardata’, più spesso noto come Ferberizing, dal dottor Richard Ferber, direttore del Centro per i Disordini infantili del Sonno di Boston. Secondo questa teoria, le cattive abitudini notturne vengono apprese e quindi possono essere rimosse. A questo fine, il dottor Ferber raccomanda che i genitori  mettano il bambino nella culla quando è ancora sveglio e gli insegnino ad addormentarsi da solo. Quando un bambino piange -dicendo in effetti “tirami fuori di qui” invece di rimettersi a dormire-, si suggerisce di lasciarlo piangere per periodi sempre più lunghi: cinque minuti la prima volta, dieci la successiva, poi quindici e così via (Chi di voi non ha letto o sentito parlare del libro “Fate la nanna”?).

Può darsi che siate già schierati da una o dall’altra parte. Se uno di questi metodi ha funzionato per voi, per il vostro bambino, per il vostro stile di vita, allora continuate così. Il problema è che la gente che non dorme a causa dei problemi di sonno dei figli spesso li ha già provati entrambi. Lo scenario tipico prevede che uno dei due genitori sia inizialmente attratto dall’idea del lettone, riuscendo a vendere il suo punto di vista al partner: dopotutto è un concetto romantico e anche la prospettiva delle poppate notturne sembra più sopportabile. In seguito però, dopo un paio di mesi, l’idillio finisce: mamma e papà, preoccupati di non schiacciare il bambino dormendo, perdono il sonno perché sono troppo attenti e ipersensibili a ogni più piccolo rumore emesso dal bambino nel pieno della notte. La coppia potrebbe allora decidere di fare dei turni:una notte nel lettone e una nella camera degli ospiti, per cercare d recuperare il sonno perduto. Di solito è a questo punto che mamma e papà decidono che è ora che il bambino dorma per conto suo. Pensate quale cambiamento traumatico sia questo per lui: “ma come? mamma e papà mi hanno accolto per mesi nel lettone, coccolandomi, e di colpo vengo messo in una stanza tutto solo. Dove sono andati tutti quanti? Dove sono i corpi caldi che di solito sono distesi accanto a me? Allora piango, perché questo è il mio modo di chiedere dove siete?, piango piango ma nessuno viene. Alla fine arrivano, mi fanno una carezza, mi dicono di fare il bravo e di rimettermi a dormire. Ma nessuno mi ha insegnato ad addormentarmi da solo. Sono semplicemente un bambino!”.

Il mio parere è che le pratiche estreme spesso non funzionano. Molto meglio un approccio di buon senso, che tenga conto di quel particolare bambino, in quella famiglia, in quella fase di crescita specifica e delle possibilità e strategie di sopravvivenza dei genitori. Credo che l’idea di lasciar piangere il bambino finisca per non tenere conto dei suoi bisogni, mentre quella del lettone concede poco agio ai genitori. Secondo me, i bambini hanno bisogno di imparare a addormentarsi da soli; hanno bisogno di sentirsi tranquilli e al sicuro nel proprio letto. D’altro canto, hanno anche bisogno del nostro conforto quando sono in difficoltà. Allo stesso tempo i genitori hanno diritto di avere un riposo adeguato, dei momenti per se stessi e per gli altri, di un buon riposo e una vita che non sia dedicata sempre e solo al bambino; eppure hanno anche bisogno di dedicare tempo, energie e concentrazione ai propri figli. Per questo una buona educazione alla nanna aiuta a conciliare queste due necessità.