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S.O.S. GENITORI

S.O.S. GENITORI

“Quando vorremmo modificare qualche aspetto del bambino,
sarebbe meglio prima vedere se non sia qualcosa
che possiamo piuttosto cambiare in noi stessi.”
Carl Jung

Come molte persone prima di diventare genitore, anch’io non riuscivo a immaginare l’intensità del sentimento che avrei provato per i miei figli. Non avevo idea dell’emozione che avrei sentito quando avessero sorriso per la prima volta, avessero imparato a camminare, a parlare. Non potevo immaginare quanta pazienza e quanta attenzione mi avessero richiesto minuto per minuto. Né quanto avrei desiderato dargli tutta l’attenzione di cui avevano bisogno. D’altro canto mi sorpresi a constatare quanto, a volte, mi sentissi frustrata, delusa, vulnerabile. Frustrata quando non riuscivamo a comunicare, delusa quando si comportavano male, vulnerabile quando dovetti riconoscere di essere preda delle mie emozioni invece che padrona di un corretto modo di agire con loro. Così, imparavo cose nuove sulle mie stesse emozioni e compivo scoperte connesse con la mia vita professionale e utili dal punto di vista educativo (un conto è leggere certe cose, un altro conto è viverle con la pancia e comprendere la relazione genitore-figlio nella sua concretezza).

Nel fare l’esperienza di genitori ci si porta dietro anche una vita di interazioni passate, che a loro volta contribuiscono a formare l’idea di quel che un “buon genitore” dovrebbe o non dovrebbe fare. In essa sono compresi i modi in cui siamo stati trattati da piccoli, il modo in cui i nostri amici trattano i loro figli, quello che abbiamo visto in tv o al cinema e quello che abbiamo letto nei libri. Il fatto è che dobbiamo imparare a non ascoltare tutte queste “voci”. Si deve cercare di essere consapevoli di questi finti ideali presenti nella nostra mente, e sapere che non dobbiamo raggiungerli. Potrebbero funzionare per il bambino di qualcun altro, per un’altra famiglia, ma non per noi.

Spesso succede di attribuire sentimenti e intenzioni adulte ai bambini. Ad esempio, per un adulto il pianto segnala uno sfogo di emozioni, di solito una tristezza che non si riesce a trattenere, oppure gioia e a volte anche rabbia. Tuttavia, i motivi per cui noi piangiamo sono diversi da quelli per cui lo fanno i bambini. Il pianto è il loro modo per dire: ho bisogno di dormire, ho fame o sono stufo o ho bisogno di un abbraccio. Altre volte succede di proiettare le proprie motivazioni e i propri bisogni sui bambini. Vi è difficile stare soli? È probabile che pensiate che vostro figlio piange perché si sente solo. Siete un po’ ipocondriaci? Per voi ogni pianto potrebbe essere il segnale di una malattia. Siete inclini agli scoppi d’ira? Penserete che anche il vostro bambino è arrabbiato. Prendete sempre un momento per chiedervi: “Sto davvero sintonizzandomi sui bisogni del bambino o sto semplicemente reagendo a mie emozioni personali?”.
Se un bambino ha un comportamento che sconvolge la vita familiare, rovina il sonno o impedisce di avere una tranquilla vita quotidiana, c’è sempre qualcosa che i genitori possono fare.

Bisogna partire da queste tre premesse fondamentali:

1. Il bambino non fa nulla di proposito o per farvi dispetto. Spesso noi genitori non ci rendiamo conto dell’impatto che abbiamo sui figli e del fatto che, nel bene e nel male, siamo noi a formare le aspettative dei bambini e il loro modo di reagire.
2. Voi siete in grado di disabituare il bambino. Analizzando il vostro comportamento -cioè quello che voi fate per incoraggiare vostro figlio- potete trovare il modo di cambiare qualsiasi cattivo comportamento o abitudine gli abbiate involontariamente trasmesso.
3. Per cambiare ci vuole tempo. Ci vorrà tempo e una buona dose di pazienza per far scomparire il comportamento che state cercando di modificare, che sia una difficoltà ad addormentarsi o un problema relativo al comportamento.

Allevare un figlio è un compito che dura tutta la vita, ed è una cosa che dovete prender più seriamente di qualsiasi altra missione abbiate mai portato a termine. Siamo responsabili della guida e della formazione di un altro essere umano, e non c’è nulla di più importante di questo. Quando le cose si fanno particolarmente dure, bisogna restare lucidi. La prima infanzia è un’età meravigliosa: spaventosa, preziosa e troppo breve. Se a tratti dubitate che un giorno vi guarderete indietro con nostalgia di quest’epoca così dolce e semplice, basta parlarne con genitori che hanno figli più grandi e che potranno confermarlo: prendersi cura di un bambino non è che un piccolo ‘beep’ sul radar della nostra vita, forte e chiaro ma tristemente irripetibile. Il mio augurio è che si possa goderne ogni momento, anche quelli difficili e il mio scopo è dare la fiducia in se stessi e nella propria capacità di risolvere i problemi.