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RIFLESSIONI SULLA PROBLEMATICA DELL’ANORESSIA

RIFLESSIONI SULLA PROBLEMATICA DELL’ANORESSIA

Studiando le dinamiche presenti all’interno di famiglie con una figlia anoressica o bulimica, si constata che il vero problema non sono tanto i sintomi quanto i significati che questi vengono ad assumere in ogni specifico gruppo familiare. Se presi unicamente come disturbo mentale, intrinseco all’individuo che li presenta, porteranno alla ricerca da parte dei genitori di “che cosa si è rotto nella sua testa”. La persona in difficoltà diventa materiale di studio e di sconvolgimento degli equilibri familiari ed il suo comportamento anomalo diviene il crogiuolo della sofferenza familiare e la ragione ultima dell’intervento terapeutico a cui si demanda con disperazione la soluzione di un problema senz’altro complesso. Un modo differente per impostare il problema è quello di considerare la famiglia come risorsa attiva, depositaria di malesseri profondi quanto di energie vitali e risorse, talora imprevedibili. Il primo passo è allora quello di spostare l’attenzione dal rimuovere il sintomo al comprenderne i significati in ciascuna famiglia e proprio in quello specifico momento del suo ciclo vitale. Chi vive in quell’ambiente e ne condivide la storia evolutiva, se aiutato a riscoprire le proprie risorse interne, potrà fornire informazioni e risposte più utili e interessanti di quelle di esperti esterni.

Nel mio atteggiamento terapeutico ho rivalutato la forza insita nella patologia e ho iniziato a usarla; ho voluto credere che l’anoressica non fosse l’elemento di fragilità della famiglia, anche se sembrava essere la persona che più gioca una posizione fisica di estrema debolezza. In realtà, il suo bisogno di controllo e la sua cocciutaggine rivelano, a livelli più profondi, i suoi punti di forza che si esplicano attraverso il suo sfidare, tra la vita e la morte, se stessa, la famiglia e gli altri. L’ipotesi che l’anoressica non fosse l’elemento di fragilità della famiglia derivava proprio dall’osservazione della sua posizione di sintesi fisica e psicologica di una violenza interpersonale, di una problematica che sicuramente non si limitava al suo corpo e quindi portava alla considerazione che, se si assumeva tali carichi emotivi, dovesse essere equipaggiata in qualche modo. Infatti, la forza dell’anoressica deriva dall’essere l’elemento essenziale accentratore di tutta una serie di stati d’animo, di conflitti, di problemi, manifestati attraverso i suoi sintomi. L’anoressica da oggetto di osservazione rispetto alla sua patologia diventa soggetto di competenza ed esperienza. Tale ipotesi tende a rivalutare una serie di elementi importanti rispetto all’anoressica: riconoscere la sua soggettività, riconoscere la sua completezza pur nella scheletricità del suo corpo, riconoscere soprattutto in lei una sorta di professionalità, di capacità di sintesi di una serie di conflitti interpersonali che altri componenti della famiglia, ad esempio fratelli e sorelle, non possiedono.

Se si allarga il punto di osservazione e si include nella comprensione della patologia attuale la storia della famiglia, si affrontano problematiche ben diverse dalla battaglia sul cibo. Se parliamo ad esempio della negazione della femminilità (che è più importante di quella del cibo), della immagine corporea, della salute, anche fisica, se ci ricolleghiamo al rifiuto dell’adolescenza messo in atto dalla giovane anoressica, sarà importante allargare questo quadro e studiare altri rifiuti, altre negazioni in momenti diversi e in generazioni diverse, per poi ridiscendere nel presente arricchiti da una visione più storica ed evolutiva della famiglia.

Mi sembra che l’anoressia dall’essere una preoccupazione di patologia diventi, in questo modo, un’occasione di crescita. Se l’anoressica comincia a mangiare, ad avere le sue mestruazioni, a giocare meno a fare il controllo in famiglia, potrà riscoprire l’adolescenza e di conseguenza tutte le paure di questa fase evolutiva. Può accadere però che nel momento in cui le sue paure si spostano dall’apparato digerente al mondo esterno, assisteremo ad altri conflitti. Per esempio, ci troveremo di fronte un’adolescente estremamente preoccupata dei rifiuti, un’adolescente così ipercritica ed esigente che avrà grosse difficoltà nel tollerare situazioni di frustrazione, rinunciando alla sua onnipotenza. Però questo viraggio, questo abbandono del sintomo, le permetterà di affrontare paure e conflitti normali e non più dettati e accentrati da un comportamento patologico, paure e conflitti che potranno essere superati usando le proprie armi, le proprie forze e non la forza del sintomo.