Spazio Blog

INTERVENIRE NEI DISTURBI ALIMENTARI

INTERVENIRE NEI DISTURBI ALIMENTARI

I familiari sono, in genere, molto provati dal sintomo alimentare e quando entrano in terapia hanno compiuto molti sforzi nel tentativo di liberarsene e sembrano avere esaurito tutte le loro risorse. Oscillano tra il sentirsi in qualche modo responsabili (a volte sono stati biasimati da qualcun altro, professionisti compresi) e l’attribuire l’insorgenza dell’anoressia o bulimia ad eventi esterni, quali una dieta o una delusione amorosa. È importante concentrare l’attenzione e raccogliere informazioni sulla struttura della famiglia, sulla fase del ciclo vitale che sta attraversando, sui rapporti transgenerazionali e sul funzionamento della famiglia e dei suoi membri a diversi livelli (comportamentale, esperienziale e cognitivo), con particolare attenzione alle dinamiche familiari che ruotano intorno ad aree cruciali (conflitti sulla definizione della relazione, triangoli, confini, dipendenza-autonomia). Al sintomo viene frequentemente attribuito, sia dalla paziente che dai sui familiari, il significato di un difetto di volontà, un “vizio”, ascrivibile ad una sorta di debolezza psicologica tutta individuale. Attraverso un lavoro di esplorazione è possibile individuare le connessioni tra il sintomo, l’emergenza soggettiva e le interazioni familiari allo scopo di costruire una lettura plausibile, che restituisca comprensibilità a ciò che appare incomprensibile o relegato nei confini angusti di una debolezza individuale. In generale la bulimia può essere letta come il segnale, sul versante del sistema familiare, delle difficoltà ad affrontare i cambiamenti legati all’individuazione dei figli, o comunque di uno di essi; sul versante del soggetto, come il modo per esprimere sia il bisogno sia la paura verso lo sviluppo di un atteggiamento più indipendente ed autonomo nei confronti della famiglia. Il sistema familiare e i suoi membri, in una fase cruciale del ciclo vitale, appaiono bloccati intorno a tentativi fallimentari di risolvere i conflitti per la definizione delle relazioni. Potremo interrogarci sul perché la ragazza si è messa in testa che non sia possibile protestare o manifestare apertamente ciò che pensa e sente nella propria famiglia. Le possibili risposte saranno costruite focalizzando l’attenzione sulle problematiche che ruotano intorno al mito dell’unità familiare, ai vincoli di lealtà, stabilendo un ponte tra lo stile della famiglia nucleare e l’esperienza dei genitori nelle rispettive famiglie di origine. Sono interessanti anche i ruoli sessuali e come vengono vissuti nella famiglia: che cosa significa essere uomini o donne in questa famiglia, che cosa è permesso o appropriato per loro? La famiglia dovrà essere aiutata a stabilire confini adeguati, a negoziare la risoluzione dei conflitti, a permettere il riconoscimento delle differenze e dei sentimenti. Il sintomo bulimico può essere ridefinito anche come una specie di “parafulmine” per gravi difficoltà coniugali o per dolori inespressi all’interno della famiglia, o un aiuto ai genitori per fornire loro una ragione per sentirsi ancora necessari.
Nel caso in cui la paziente sia intrappolata nel ruolo di chi si prende cura di tutti, il sintomo può essere letto come un modo per segnalare che anche lei ha bisogno di cure e di affetto. Nella coppia la bulimia può essere riformulata come un messaggio silenzioso indirizzato al partner riguardo alla relazione, messaggio che non si riesce ad esprimere in parole. Può riferirsi alla paura dell’intimità e del contatto sessuale, può essere il veicolo per esprimere sentimenti di rabbia, rifiuto, solitudine o dipendenza.
“Qualsiasi comportamento è un messaggio, qualsiasi messaggio ha un effetto su chi ascolta e provoca un altro messaggio”: questo è un assunto di base della teoria sistemica, qualsiasi messaggio può creare un altro comportamento che può essere piacevole o spiacevole. Si creano dei circuiti che vengono definiti virtuosi quando l’escalation che ne consegue provoca benessere o circuiti stabili quando provocano invece difficoltà sempre maggiori. In questa chiave di lettura il comportamento alimentare è uno dei comportamenti che provoca più facilmente delle reazioni tra coloro che osservano; forse perché l’alimentazione è uno dei condizionamenti primari dell’esistenza, è il primo contatto che l’individuo ha con la socialità, è il primo contatto con la madre attraverso il rapporto di nutrizione. Osservando tale comportamento si possono vedere dei cicli positivi, piacevoli; questi cicli possono essere riconosciuti nel bambino che prova piacere nella nutrizione e nella madre, o in un adulto, che prova piacere a nutrire. In tali situazioni si crea un escalation positiva, un circuito virtuoso, in cui più aumenta il piacere dell’adulto più si accresce quello nel bambino e si crea un rapporto di affetto e di amore. Però sappiamo che qualsiasi comportamento può iniziare con un circuito di tipo opposto e con messaggi anche minimi che nel tempo e nella relazione si strutturano in specifiche escalations o virtuose o stabili.
Nell’anoressia un comportamento anche minimo come quello di una adolescente che comincia una dieta può provocare “stranamente” una reazione doppia: i genitori possono ammirarla e controllare insieme il suo peso oppure possono preoccuparsi presupponendo interrogativi del tipo: ‘stai mettendo in pericolo la tua esistenza?’. Ne possono conseguire comportamenti molto sottili in grado di provocare una reazione o l’altra all’interno del sistema. Quindi, spesso, le situazioni di anoressia come quelle di bulimia (sintomi che si manifestano a volte nella stessa persona) originano da comportamenti semplici per poi diventare situazioni sempre più drammatiche.