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DCA E ALIMENTAZIONE

DCA E  ALIMENTAZIONE

Le persone con disturbi dell’alimentazione hanno la convinzione che, se assumeranno certi cibi e determinate quantità di alimenti, perderanno il controllo e aumenteranno di peso in modo imprevedibile. L’ansia generata da questa convinzione è mitigata con l’accentuazione della restrizione dietetica o con l’adozione di altri comportamenti estremi di controllo del peso. In presenza di un disturbo dell’alimentazione è importante mangiare senza farsi influenzare dalla fame, dal senso di pienezza o dalle preoccupazioni sull’alimentazione perché, essendo alterati dallo stato di sottopeso o di sovrappeso e influenzati dalle erronee convinzioni patologiche del disturbo alimentare, il senso di fame e sazietà non rappresentano una buona guida per decidere quanto e quando mangiare, anzi spesso queste percezioni interne sono totalmente assenti o decisamente “sballate”. La sensazione di essere pieni o di non esserlo mai è un problema frequentemente riscontrato durante un percorso di terapia di persone affette da disturbo dell’alimentazione, che può ostacolare il percorso di cura nei disturbi alimentari. Dopo aver compreso la natura della sensazione di essere pieni, o al contrario di non esserlo mai, vanno suggerite strategie specifiche per evitare il problema: suddividere l’alimentazione della giornata in due pasti principali più due spuntini, indossare abiti che non stringano, considerare la sensazione di pienezza come un fenomeno transitorio, non guardare la pancia, non equiparare la sensazione di pienezza con l’essere grassi. E’ importante iniziare a evitare di usare i rituali a tavola o riguardanti il cibo e le ossessioni rispetto al cibo, perché la tendenza a mangiare in questo modo è un effetto secondario del disturbo alimentare che perpetua il problema stesso.  

La motivazione dovrebbe essere sempre un argomento incluso in un percorso di cura con persone con disturbi dell’alimentazione. Di tanto in tanto è consigliabile rivedere i motivi che hanno portato a decidere di affrontare una terapia. Ad esempio è utile ricordare i danni fisici associati al disturbo dell’alimentazione o chiedere le cose che non si riescono a fare in conseguenza del problema alimentare. Se si avverte una fluttuazione della motivazione nel corso del tempo, in quanto spesso la persona si ritrova fortemente legata al sintomo alimentare e poco incline ad abbandonarlo per una serie di vantaggi secondari (“ho bisogno di abbuffarmi, devo digiunare per non andare in ansia”), bisognerebbe chiedersi se qualcosa e che cosa ha influenzato tale cambiamento della motivazione nel corso del tempo. Questo può aiutare ad identificare i fattori che facilitano il cambiamento e quelli che lo ostacolano e devono essere affrontati (Fonte: Ministero della Salute)

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